ttualmente,
la concessione in Italia d’un titolo nobiliare dativo ( contrapposto
a un titolo nobiliare nativo, cioè ereditato e posseduto sin dalla
nascita ) avviene in virtù dei meriti riconosciuti alla persona
e a seguito dell’esercizio delle prerogative sovrane di quanti,
Principi Pretendenti secondo la storia, il diritto o l’accertamento
giurisdizionale, ne siano giuridicamente titolari.
Tale concetto è stato assunto in ogni tempo dalle Case già
regnanti: ove manchi la debellatio, cioè la volontaria
e spontanea rinuncia a ogni diritto di pretensione, e i Principi siano
in regola con le regole disciplinanti la successione secondo i propri
ordinamenti, sorge la figura del principe pretendente al trono, in cui
si accentrano le seguenti prerogative:
• il jus imperii, cioè la potestà di comando;
• il jus gladii, vale a dire il diritto all’obbedienza
da parte dei sudditi;
• il jus majestatis, cui consegue il diritto a ricevere
difesa e onori;
• il jus honorum, cioè il diritto di premiare, concedere
onorificenze, dignità nobiliari e cavalleresche, o la facoltà
di investire altri della potestà di concedere tali onori.
Un Sovrano, ancorché abbia abbandonato o gli sia stato imposto
di lasciare il suolo Patrio, conserva intatte quelle prerogative a cui
non è di ostacolo la mutata posizione istituzionale, mentre le
altre sono sospese: secondo la magistratura italiana – che ha fatto
applicazione dei principî mutuati dal diritto internazionale - il
jus honorum è diritto intangibile e imprescrittibile della
Casa Sovrana.
Ne consegue che un titolo nobiliare ( con predicato, qualifica e stemma
) concesso oggi, se meritato, non diverge concettualmente da quelli assunti
nei secoli trascorsi ( ancorché dativo e non nativo ), e ciò
perché emanazione della prerogativa sovrana ( rex tantum nobilem
facere potest ): il suo uso, la sua trasmissione, &c., sono regolati
dall’atto esecutivo del decreto di investitura, vale a dire dalle
“ Lettere Patenti ”.
Infatti, le sentenze che accertarono nei vari discendenti delle diverse
dinastie la qualità nativa di pretendenti al trono riconobbero
loro, per ciò stesso, la prerogativa di concedere titoli nobiliari
e cavallereschi degli Ordini di pertinenza della propria Casa sovrana.
La magistratura italiana, nella commistione fra ordinamento repubblicano
e norme del passato ordinamento nobiliare, adattò i diritti e le
successioni nobiliari alla normativa vigente.
Ne consegue:
• il diritto di tutti i discendenti, maschi e femmine, alla trasmissibilità
di qualunque prerogativa, titolo, qualifica o predicato, risultanti legittimamente
in capo all’intestatario, senza tenere in alcun conto - in contrasto
con l’art. 40 del R. D. 7 giugno 1943, n. 651, approvante il nuovo
Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, che prevede la successione
nei titoli unicamente per l’agnazione maschile - le condizioni di
trasmissibilità indicate nell’originaria concessione;
• quanto accertato viene considerato valido ai fini dello stato
civile non con valore di titolo o predicato ma come parte del cognome;
• prevalenza, nella successione nei titoli, del grado sulla linea
( in contrasto con l’art. 54 del R. D. 14 giugno 1928, n. 1430,
che, nella successione dei collaterali, preferiva la linea sul grado );
• possibilità di prova fornita per via giudiziaria del legittimo
possesso di un titolo ( ipotesi esclusa dall’ordinamento nobiliare
);
• diritto al Sovrano spodestato di concedere titoli, trasmissibile
ai successori purché non debellati ( e non incentrato esclusivamente
nel Sovrano già regnante, la cui posizione particolare è
sottesa alla mancata rinuncia alla pretensione, che gli Stati ove le Dinastie
hanno esercitato le loro sovrane prerogative non possono vanificare se
non ottenendo il volontario abbandono del diritto, cioè rendendo
perfetta la debellatio ).
Tutto ciò denota che il Sovrano spodestato conserva un ben preciso
diritto, basato sull’ereditarietà, che in concreto si identifica
nella pretenzione al trono perduto, ciò che lo legittima a conferire
i titoli nobiliari, onorificenze e distinzioni cavalleresche appartenenti
al patrimonio araldico della dinastia.
La magistratura italiana riconobbe quindi il jus honorum ai
Sovrani spodestati e ai loro discendenti, purché non debellati
e in regola con le disposizioni regolanti la successione secondo il rispettivo
ordinamento.
Per chiarezza, ciascuna Casa Sovrana che abbia esercitato la sovranità
su tutto o parte il territorio della penisola italiana vanta gli stessi
diritti su di esso.
Questa lunga premessa vale a dimostrare l’assunto secondo cui,
per il diritto internazionale, la concessione nobiliare prescinde da rapporti
costituiti con la cosa pubblica e con la Patria di appartenenza del concessionario,
per essere riservata a persone distintesi per azioni rivolte a favore
della Casa Sovrana, per atti indipendenti di valore e di carità
o per il riconoscimento di benemerenze, conseguite privatamente o pubblicamente,
che abbiano toccato la sensibilità del principe pretendente.
Pertanto, una casata principesca, già sovrana, mantiene sempre
il carattere di dinastia, il cui attuale Capo di Nome e d’Arme conserva
titoli, prerogative e spettanze dell’ultimo sovrano spodestato,
con il nome di principe pretendente, abbia ora il trattamento di Altezza
Imperiale, Altezza Reale o di Altezza Serenissima.
In Italia, le Case Sovrane con queste prerogative sono diverse. Ricordiamo,
fra le altre, accertate come tali in forza di sentenza, le seguenti dinastie:
Paternuense - Balearide;
d’Altavilla ( seu d’Hauteville ) Sicilia - Napoli;
Amoriense d'Aragona;
Angelo Comneno di Costantinopoli;
Paleologo di Bisanzio;
Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi.
Quindi, la giurisprudenza italiana degli scorsi decenni ha statuito che
i discendenti di qualsivoglia dinastia non debellata posseggono la fons
honorum, e se è pur vero che le sentenze fanno stato solamente
fra le parti, i loro eredi o aventi causa, è altrettanto indiscutibile
il valore di precedente che le decisioni assumono nei confronti d’ogni
caso analogo rispetto a una determinata dinastia.
A tal proposito, si riproducono, a mero titolo d’esempio, estratti
di sentenze emanate in epoca Regia e repubblicana riguardanti case sovrane
che ottennero l’avallo della giurisprudenza: Focas Flavio Angelo
Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi; Lascaris Comneno Flavio
Angelo Lavarello Ventimiglia di Turgoville; Paternò Castello di
Carcaci; d’Altavilla ( seu d’Hauteville ) Sicilia Napoli (
innumerevoli sono le pronunce riguardanti altre Case Sovrane, fra cui
Amoroso d’Aragona, &c. ).
Così, S. A. I. Don Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De
Curtis di Bisanzio Gagliardi, Porfirogenito della stirpe costantiniana
dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno, nato a Napoli il 15 febbraio 1898
e deceduto in Roma il 15 aprile 1967, principe imperiale di Bisanzio,
principe di Cilicia, principe di Macedonia, principe di Tessaglia, principe
di Ponto, principe di Illiria, principe di Moldavia, principe della Dardania,
principe del Peloponneso, &c. &c., duca di Cipro, duca di Epiro,
duca e conte di Drivasto e Durazzo, &c. &c., fu confermato dalle
sentenze 18-07-1945, n. 475, IV Sezione, del Regio Tribunale Civile di
Napoli, e 07-08-1946, n. 1138, IV Sezione, del Tribunale di Napoli ( repubblica
italiana ), erede di Costantino I Magno Imperatore e discendente legittimo
della più antica dinastia imperiale bizantina vivente.
Infatti, la Regia sentenza 475/1945, cit., decise che il principe Antonio
De Curtis-Gagliardi è “ discendente diretto mascolino legittimo
della famiglia imperiale dei Griffo-Focas ( … ), con gli onori e
diritti di Conte Palatino, oltre agli altri titoli, onori e diritti che
gli competono per la predetta discendenza. ”
La sentenza 1138/1946, cit., ordinò all’ufficiale dello
stato civile di Napoli di rettificare l’atto di nascita di Antonio
De Curtis-Gagliardi, annotando in calce allo stesso atto che “ compete
al neonato la qualifica di Principe ed il trattamento di Altezza Imperiale,
quale rappresentante, in linea diretta, mascolina e legittima, della più
antica dinastia imperiale bizantina vivente. ”
In seguito, il tribunale di Napoli, con sentenza 01-03-1950, definì
S. A. I. Antonio “ erede e successore delle varie dinastie bizantine
dell’Imperatore Costantino il Grande, ” ordinando all’ufficiale
dello stato civile di Napoli di rettificare l’atto di nascita del
Principe “ nel senso che vi si legga: Focas-Flavio-Angelo-Ducas-Comneno
De Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio. ”
La citata sent. 1138/1946 ordinò “ altresì all’Ufficiale
dello Stato Civile di Roma di annotare in calce all’atto di nascita
della figlia del Principe Antonio De Curtis, a nome Liliana, la qualifica
di Principessa. ”
Infine, con sent. 1° marzo 1950, il tribunale civile di Napoli, IV
sezione, ordinò “ all’ufficiale dello stato civile
di Roma di procedere a simile rettifica del cognome della Principessa
Liliana de Curtis Griffo Focas, figliuola di detto Principe Antonio ”,
nel senso che vi si legga “ Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De
Curtis di Bisanzio Gagliardi, ” e affermò che “ gli
Imperatori Bizantini erano successori ed eredi di tutti i diritti despotali,
onori e titoli degli Imperatori che li avevano preceduti. Pertanto, non
v’ha dubbio che il ricorrente, quale unico erede e successore vivente
delle varie dinastie bizantine, dall’Imperatore Costantino il Grande
in poi, riassumendo nella sua persona tutti i diritti, onori e titoli
che essi godevano, abbia anche il diritto incontestabile di riprendere
tutti i titoli di cui le loro famiglie si fregiavano. ”
Analoghe considerazioni valgono per lo stralcio della sentenza 10-09-1948,
n. 5143 bis, n. 23828/48 R. G., della VII sezione della pretura di Roma,
che riconobbe a Sua Altezza Imperiale il principe Don Marziano II Lascaris
Comneno Flavio Angelo Lavarello Ventimiglia di Turgoville la spettanza
dei titoli di Basileus titolare di Costantinopoli; Capo della
Casa Lascaris Comneno; Despota di Nicea e della Bitinja; erede Porfirogenito
dei Nemanja Paleologo; Pretendente all’imperiale trono di Bisanzio
e di erede della dinastia del Sacro Impero di Oriente ovvero dell’Augustissima
Comnenia dei Principi Lascaris, che si ricongiunge all’imperatore
Costantino il Grande, nonché la capacità di compiere atti
di sovranità quale Porfirogenito e continuatore di una Augusta
Stirpe già Sovrana ( e per di più spodestata senza debellatio,
che, oltre a conferire gradi cavallereschi dell’Ordine del suo patronato,
concede anche titoli nobiliari e di volontaria giurisdizione ).
La Pretura, in tale sentenza osservò altresì, a proposito
della tesi della continuità delle prerogative delle Famiglie Sovrane
( Famiglie da molto tempo spodestate dei loro Troni ), che la prerogativa
cosiddetta regia è una prerogativa jure sanguinis che
ha solo il Re e Principe sul Trono, che trasmette ai suoi successori anche
quando, per vicende varie, vengono privati del possesso territoriale e
che si conservano nei secoli anche quando la dinastia ha perduto praticamente
il Trono ed è stata deposta legalmente. Si arguisce – continua
la sentenza - che il Capo della Casa Lascaris, discendente dalla dinastia
dei Flavio Comneno Ducas estromessa con la forza, conserva anche in esilio
tutte le prerogative dei Sovrani Regnanti e può compiere ogni atto
che gli compete, e gli atti che egli compie hanno valore giuridicamente.
Altro estratto proviene dalla sentenza 27-06-1949, n. 114, n. 217/49
R. G., della pretura di Vico del Gargano, che riconobbe che la famiglia
imperiale dei Lascaris Comneno Flavio Angelo Lavarello Ventimiglia di
Turgoville, impersonata da S. A. I. Don Marziano, Basileus Titolare di
Bisanzio, può conferire investiture nobiliari, avvegnaché
le Dinastie destituite con la forza conservano intatte tutte le loro prerogative
e quindi esse di pieno diritto possono concedere titoli nobiliari ai loro
fedeli o alle persone degne e meritevoli; quello che giova e sorregge
– osserva la sentenza - è il decreto di nomina, cioè
l’atto potestativo di conferimento; per conseguenza come del resto
riconosciuto in altri casi dalla Magistratura italiana ( cfr. Ordinanza
28 maggio 1947 del Tribunale di Napoli ) la Dinastia Lascaride Angelica
Flavia Comneno Ducas, estromessa con la forza dai fastigi del potere imperiale,
conserva tutte le prerogative dei sovrani regnanti.
Tre sentenze riguardanti la dinastia Paternuense Balearide hanno confermato
la consanguineità con la Casa d’Aragona – Majorca -
Sicilia e la legittimità della relativa fons honorum.
La prima, della pretura unificata di Bari, 03-03-1952, n. 485, divenuta
irrevocabile nelle forme di legge, ha accertato che “ la Famiglia
Principesca dei Paternò ebbe origine da Giacomo I il Conquistatore,
discendente dai conti di Guascogna, del Re di Navarra e dei Re di Castiglia
”; la seconda, 05-06-1964, n. 119, del Tribunale Penale di Pistoia,
sezione unica, ha espressamente confermato la legittimità della
fons honorum del rappresentante massimo della Real Casa Paternò,
in quanto la legittimità del pretendente della famiglia Paternò
deriva dalla discendenza legittima e provata di un membro della Real Casa
d’Aragona; la terza, sentenza arbitrale 08-01-2003, n. 50, dichiarata
esecutiva con decreto del Presidente del Tribunale Ordinario di Ragusa
17-02-2003, n. 177, ha dichiarato che competono al Capo della Real Casa
“ le prerogative sovrane connesse allo jus majestatis ed
allo jus honorum, con la facoltà di conferire titoli nobiliari,
con o senza predicato, stemmi gentilizi, titoli onorifici e cavallereschi
relativi agli ordini ereditari di famiglia; la qualità di soggetto
di diritto internazionale e di gran maestro di ordini non nazionali ai
fini della legge 3 marzo 1951, n. 1978 ”.
Le sentenze del Tribunale di Napoli, IV sez. civ., 30-11-1949, n. B/4549/49,
e I sez. civ. 30-07-1956, n. B/2337/56, accertarono nei principi Mario
e Cesare le qualifiche “ di Principe Reale d’Altavilla (d’Hauteville)
e di Principe di Sangue porfirogenito, Principe Reale di Sicilia e di
Napoli, Duca delle Puglie, Duca di Sicilia, Conte di Lecce, Duca di Capua,
Principe di Taranto, Principe di Bari e di Principe di Antiochia, quale
legittimo pretendente al trono di Napoli e di Sicilia, con trattamento
di Altezza Reale, ed erede e capo della Augusta Reale Dinastia Normanna
e di Sicilia ”, in quanto “ i Cilento (seu Cilenti, de Cilento)
sono la continuazione genealogica e storica del ramo superstite dei Normanni
d’Altavilla di Sicilia e di Napoli e precisamente i discendenti
di Guglielmo d’Altavilla, Conte di Principato (l’attuale regione
del Cilento) uno dei figli di Tancredi d’Hauteville. Essendo tutto
ciò in questa sede provato, ne consegue che il ricorrente è
il capo della casa Normanna d’Altavilla di Sicilia e di Napoli e
pertanto a lui spetta, per sé e per i suoi successori maschi e
femmine all’infinito tutte le qualifiche, prerogative, attributi
e trattamenti che gli competono. Pertanto il ricorrente ha diritto alla
qualifica di Princeps Natus ovvero Principe di Sangue, oltre a tutte le
titolarità o titolature che gli competono quale soggetto di diritto
internazionale quale depositario di tutti i diritti della famiglia e di
curatore della sua casa, ai troni di Sicilia e di Napoli e dell’Italia
Meridionale ”, il dispositivo della sentenza in esame, rettificando
gli atti dello stato civile, ordinando che il ricorrente vi risulti “
S.A.R. il Principe Reale Cesare d’Altavilla (seu d’Hauteville)
Sicilia-Napoli ”.
Infine, oltre sedici sentenze di Pretura e Tribunale, Regie e repubblicane,
hanno accertato la legittimità della Casa Imperiale Amoriense d’Aragona
e dei suoi ordini cavallereschi; più di dieci sentenze di tribunali
repubblicani hanno riconosciuto titoli e predicati della medesima Casa.
Si può ragionevolmente concludere tale disamina affermando, sulla
scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza italiana, che un sovrano
potrà anche essere stato privato del trono - e financo bandito
dallo Stato su cui esercitò la sovranità - ma non potrà
mai essere spogliato della sua qualità nativa: in questa fattispecie,
ha origine il pretendente al trono, che mantiene intatti quei diritti
della sovranità al cui esercizio non è di ostacolo la mutata
posizione giuridico-istituzionale, fra cui il jus honorum, cioè
il diritto di conferire titoli nobiliari e gradi onorifici di ordini cavallereschi
di collazione ed ereditari facenti parte del patrimonio dinastico della
famiglia.
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